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A COLLOQUIO CON GLI INTERPRETI: JAMES KREGER

Il virtuoso americano ci spiega la sua filosofia musicale

La recente pubblicazionc del disco dedicato ai Concerti per violoncello di Antonín Dvořák e Victor Herbert che segue a distanza di un anno il CD dedicato a Mendelssohn recensito in termini entusiastici dalla nostra rivista, ci è sembrata occasione giusta per fare una breve chiacchierata con James Kreger, solista di grande sensibilità e calore.

Maestro Kreger, può parlarml dei percorso artistico che le ha permesso di sviluppare il suo inconfondibile suono?

James Kreger

Photo by Robert Preston

«Fin dal mio primo incontro con la musica ho capito che si trattava di una porta che, una volta aperta, avrebbe rivelato tutta la sua essenza: espressione, emozioni, significati nascosti e una sensazione di infinito. Sono sempre stato trascinato dalla musica. Molte persone sono abituate a credere che il 'suono' per un musicista rappresenti un segno caratteristico, una sona di 'firma'. Io invece sono fermamente convinto che il mio suono sia una proiezione della mia anima. Va comunque detto che questo non è sempre vero. In primo luogo è necessario sapere che tipo di suono si vuole ottenere, un fatto non sempre facile, basta pensare a quanto poco spesso ci si conosce. Infatti, per potere individuare il proprio suono, è necessario prendere prima conoscenza di sé stessi. Tuttavia, il fatto di ascoltare anche altri musicisti può springere a imitare certi modelli. In ogni caso, per quanto ci si sforzi dl aderire a questi modelli, questa forma di emulazione viene limitata dalla spontanea affermazione della propria personalità. Di solito ci piacciono o siamo attratti dalle cose che conosciamo meglio. Per fare un esempio, quando ascoltiamo un certo tipo di suono — o, meglio, quando per­cepiamo l’emozione che questo suono genera in noi — proviamo auto­matica­mente l’impulso di riprodurlo. Naturalmente non è possibile riprodurre un suono con precisione assoluta. Ogni volta che ci proviamo, il suono muta a seconda del nostro stato d'animo e in questo modo, sia pure in forma inconscia, si viene a creare un suono personale. Lo stesso Bach prese a modello la musica di altri autori suoi contemporanei e di epoche precedenti e, trasformandola, la rese propria. Quando ero bambino ho ascoltato moiti 78 giri La prima registrazione in assoluto di cui serbo memoria è una Quinta Sinfonia di Beethoven interpretata dalla NBC Orchestra diretta da Arturo Toscanini. Allora avevo forse sette anni e ricordo di esserne rimasto del tutto conquistato! Rammento il desiderio di poter entrare ‘dentro’ la musica come esecutore, vero e proprio ‘officiante’. Da quel momento decisi di fare parte di questo mondo e per questo chiesi di poter studlare il violoncello e il pianoforte (dal momento che a Nashville, Tennessee, non era possibile apprendere il sassofono, lo strumento che in realtà avrei voluto più di qualunque altro!). Nel frattempo iniziai ad ascoltare gli altri dischi presenti a casa mia scoprendo Ormandy, Heifetz, Casals, Kreisler, Caruso, Gigli, McCormack … Inoltre ebbi la grande fortuna di poter assistere ai concerti di grandi artisti come Moiseiwitsch alle prese con il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Rachmaninov. Come vede, rispondendo alla sua domanda non sto parlando delle tappe che mi hanno consentito di sviluppare il mio particolare suono, in quanto sono fermamente convinto che il suono di ciascuno sia originato dalla fantasia e dalle esperienze che la vita ci propone. Ovviamente è necessario dedicarsi alla tecnica, perché è solo grazie alla tecnica che si può durare nel tempo. Per convincersene basta pensare a Maggie Teyte: è stato solo grazie alla sua straordinaria tecnica vocale che ha potuto cantare fino in tarda età. Inoltre ci sono anche musicisti in possesso di un suono di grande bellezza ma che, sfortunatamente, non è in grado di comunicare nulla. Un vero suono deve possedere un proprio significato, non può rispecchiarsi semplicemente in sé stesso. Un vero suono deve spalancare la porta su infiniti universi di emozioni e significati! Casals — al pari di moiti altri interpreti del passato — poteva suonare anche solo una nota e il pubbllco ne rimaneva conquistato. È difficile parlare di suono. Potremmo anche analizzarne a fondo le qualità oggettive (dolcezza, ricchezza. opulenza, eccetera) ma senza la sicurezza di arrivare al vero nocciolo della questione, dal momento che la sua principale caratteristica è la sua imponderabile magia. Piuttosto sarebbe meglio prestare attenzione a cosa c'è ‘dentro’ o ‘dietro’ il suono. La Callas non aveva una voce dal suono particolarmente bello ma, a differenza di moltissimi altri cantanti di ieri come di oggi che si limitano a eseguire una parte,lei sapeva immedesimarsi nel personaggio».

Nell’eterna polemica che oppone gli interpreti che vogliono rimanere fedeli al testo e quelli che rivendicano una maggiore libertà, lei da che parte si schiera?

«Sono fermamente convinto che si debba rimanere sempre e comunque fedeli al testo. Tuttavia bisogna valutare sempre a cosa ci si riferisce. In certi casi è necessario alterare il testo per renderne più chiaro l significato. In ogni caso, si tratta sempre di situazioni estreme».

Quando si accosta a una nuova partitura che genere di approccio adotta? In che modo si immerge nella poetica di un certo compositore o di un movimento stilistico?

«Quando mi avvicino a una nuova partitura (ma ìl discorso può essere esteso a qualunque partitura) il mio principa1e obiettivo è quello di cercare di entrare nel mondo personale del compositore e della sua musica che, molto probabilmente, è molto diverso da quello in cui viviamo noi oggi. Potrebbe trattarsi di un'altra dimensione o — come dicono molti — dell'altra parte dello specchio. La musica di Mendelssohn, per fare un esempio, possiede qualità mar­cata­mente umane. Il suo genio, soprattutto negli anni della giovinezza, può essere paragonato a quello di Mozart. Eppure la muslca di Mendelssohn presenta spunti molto elevati, che non rispecchiano la pena e i dolori che affliggono Il mondo in cui viviamo. In qualche modo Mendelssohn riesce sempre a elevarsi sopra la quotidianità. L'opera di Dvořák, al contrarlo, abbraccia un enorme ventaglio di emozioni, gran parte delle quali sono state toccate solo di passaggio (se non addirittura evitate) da Mendelssohn. Quando studio una nuova partitura cerco sempre di individuare il centro emozionale: per fare questo faccio affidamento su una molteplicità di elementi, la struttura, il genere di suono, la tavolozza di colori, l'impulso ritmico...».

Si parla molto dell'analogia che legherebbe il violoncello alla voce umana...

«II violoncello possiede senza ombra di dubbio qualità in tutto paragonibili a quelle della voce umana. Per questo, chi suona questo strumento ha a sua disposizione quasi ogni aspetto della voce. Persino le parole possono essere espresse dal violoncello. Il violoncello è in grado di cantare, parlare e rivelare un'anima di volta in volta lirica o drammatica meglio di qualsiasi altro strumento. Sul violoncello è possibile riprodurre quasi tutti i colori e i timbri della voce umana. Non esiste virtualmente limite alla sua ricchezza emozionale. Secondo me, il violoncello vanta una straordinaria propensione nel dare corpo alla cantilena. Penso sempre al'espressione italiana ‘filo di voce’. Non bisogna mai dimenticarsi di questo!».

Cosa pensa dell'attuale 'freddezza' che accomuna molte prese del suono, spesso realizzate in ambienti isolati di piccole dimensioni?

«Quando mette piede in uno studio di registrazione, un musicista può contare su molti vantaggi e possibilità che in un concerto dal vivo non esistono. Tuttavia, nonostante questo, è bene stare sempre molto attenti, in quanto, per stare troppo attenti al suono, si finisce per diventare troppo freddi. Quando registro mi sforzo di pensare al pubblico di ascoltatori ben disposti che ascolteranno la mia interpretaßzione. Questo uditorio virtuale mi aiuta molto e mi sprona a dare sempre ìl meglio di me stesso. In un concerto dal vivo si viene a creare un livello di energia assolutamente fantastico! Si verifìca un meraviglioso interscambio tra interprete e pubblico che, uniti, godono dell'ispirazione e dell'estasi».

Come riesce a ottenere questo meraviglioso equilibrio tra lettura rigorosa della partitura e libertà interpretativa?

«Gli obiettivi che mi prefiggo sono l'espressione delle passioni e del sentimento ma anche un certo controllo. Per questo provo molta ammirazione per lo stile esecutivo di Sviatoslav Richter. In certi casi ci si affida completamente all'istinto, ma questi momenti nella vita di un'artista devono rappresentare quasi un'eccezione. Il mio punto di partenza è sempre costituito dalla partitura ma senza trascurare minimamente la spontaneità. Qui entra in gioco quella che lei ha definito ‘libertà interpretativa’. Quando è possibile, mi piace immaginare di ‘essere’ la musica, proprio come un grande attore si immedesima nel suo personaggio. Esistono artisti che si incarnano nella parte che interpretano, almeno per la durata del lavoro teatrale o delle composizioni che li vedono protagonisti. Per me è importante sentire e credere che questi artisti non si limitano a suonare il violoncello. Voglio che diventino un tutt'uno con lo strumento. Quando entrano nel mondo della musica, essi stessi dovrebbero diventare musica!».

— Pierre Bolduc